The Gang

Sandro e Marino Severini cominciano la loro avventura musicale molto presto, in un paesino delle Marche di nome Filottrano, il luogo di nascita che li ha visti crescere e imparare i primi rudimenti chitarristici.
Intorno ai tredici anni si coagulano nel primo gruppo semiserio della loro storia e cominciano a esercitarsi seriamente agli strumenti preferiti. Sono gli inizi di un’esperienza, non certo originale, che coinvolge moltissimi adolescenti, affascinati dal mondo del rock’n’roll e dalla sua filosofia di trasgressione. E’ un’età in cui si assorbe come spugne tutto ciò che interessa e la musica per Marino e Sandro, più giovane di qualche anno, si capisce subito che rappresenta molto. E’ questo il momento in cui cominciano a fare delle scelte, ad orientare i propri gusti e frequentare chi la pensa nello stesso modo: siamo verso la metà degli anni Settanta, un momento in cui l’eredità di un rock un pò rantolante viene raccolta dal movimento punk che comincia a far parlare di sé. Esplodono i Sex Pistols, una band che non badava tanto per il sottile e che manifestava il disagio giovanile in modo violento ed eclatante. Nel ’76 il Melody Maker dedica la sua copertina agli scontri avvenuti nei locali dove il gruppo smette di suonare per azzuffarsi con il pubblico. Per una realtà di provincia questi fatti sono sensazionali ed eccitano la curiosità. REDS05Da noi è il momento delle case occupate e dei centri giovanili che i futuri Gang frequentano assiduamente facendosi un’idea precisa della situazione sociale e politica italiana. Alla fine dei Settanta Sandro parte per il servizio di leva e c’è ovviamente un break per quel che riguarda la loro attività, ma c’è anche voglia di pianificare un futuro che abbia un riscontro sul piano musicale. “Non è che noi pensassimo già di dedicarci professionalmente alla musica”, dice Marino, “ma la necessità di capire bene quale via seguire con convinzione ci sembrava importante e così ci ripromettemmo che al suo ritorno ci saremmo dati da fare, intanto avremmo lavorato sulla chitarra per averne sempre più padronanza”.
Seguì un viaggio a Londra che mise i fratelli Severini a contatto diretto con la realtà socio-musicale della capitale inglese. Videro il fenomeno punk nel suo contesto ambientale e si resero conto dell’impatto fortissimo che esso aveva sui giovani, che non si trattava di un movimento di pensiero astratto, bensì di un modo di interagire fortemente radicato sul territorio. Essere punk, dunque, non significava solo trapassarsi le guance con le spille e andare in giro con jeans stracciati e anfibi, voleva dire, molto più concretamente, organizzarsi per salvaguardare i propri diritti e appropriarsi, per quel che era possibile, della qualità della vita. L’esercito punk era in gran parte costituito da disoccupati ed emarginati che vivevano nelle squallide periferie londinesi e che ogni tanto decidevano qualche raid nella capitale, per il resto avevano i loro quartieri, i loro bar e ovviamente la loro musica. Marino e Sandro si resero conto che la realtà della loro provincia non era altro che un microcosmo con buona parte degli stessi problemi. Quel viaggio, insomma, li mise davanti ad una realtà molto diversa dall’idea che si erano fatti del punk, spesso dipinto come un’accozzaglia di nazisti, gratuitamente dediti alla violenza. REDS03Come buona parte dei fenomeni giovanili che partono da una base sociale di assoluta precarietà, il punk aveva in sé tanta rabbia e disgressione da permettere la nascita di nuovi modelli perfettamente adattabili alla contingenza.
I Clash furono per i fratelli Severini una vera e propria folgorazione. Quando ritornarono a casa si tagliarono capelli e barbe e cominciarono a provare i loro repertori, a studiare come venivano strutturati i testi e a comporre loro stessi i primi pezzi direttamente in inglese. C’era una grande voglia di stare insieme, di fare gruppo, sperimentare e condividere situazioni nuove e soprattutto quel modo di fare musica che conferiva finalmente qualcosa di elettrizzante e sensazionale. I gruppi che nascevano intorno al loro giro avevano altrettanto entusiasmo e capitava spesso che alla fine della settimana si mettessero d’accordo per dividere le spese dell’affitto di una sala cinematografica o di un’ex discoteca e suonare per un pubblico di affezionati, desideroso di veder svilupparsi anche lì la scena punk che li coinvolgesse. A quel punto il massimo riferimento era London Calling, un album fondamentale della storia dei Clash, uscito nel ’79, che segna una svolta di maturità fondamentale di grande rilievo. Anche il successivo Sandinista si rivelò fondamentale per Marino e Sandro perché contribuì a metterli in contatto con la realtà del Sud del mondo, quello più sfruttato e prevaricato, tema che sarebbe diventato molto sentito dai Gang e più volte riproposto nel corso della loro carriera.
Il gruppo con cui si esibivano era impostato nella più classica struttura rock e prevedeva due chitarre, basso e batteria: le competenze future sembrano già delineate con Sandro più attento alla parte strettamente musicale e Marino dedito alla voce e composizione dei testi. Non a caso la tacita divisione dei ruoli in famiglia ha sempre visto Marino comprare i libri e Sandro i dischi. Soldi ne giravano pochi per cui gli spostamenti non potevano essere molto frequenti: i concerti si limitavano a svolgersi nelle zone di casa e tuttalpiù si andava a Macerata o ad Ancona dove le esperienze confluivano più facilmente, ci si potevano scambiare idee e impressioni sui nuovi dischi usciti e sul modo di suonare. Nel 1984 arriva il gran momento. I fratelli Severini hanno pronto un certo numero di pezzi propri, già ampiamente collaudati davanti al pubblico, nel corso dei vari concerti, e decidono di autoprodursi il primo lavoro discografico. Nasce così Tribes’ Union un EP che comprende otto brani scritti sotto l’influenza dei Clash, ma anche di un nuovo grande amore, Billy Bragg, musicista inglese nato musicalmente con il primo punk, che ama esibirsi alla maniera dei vecchi folksinger. Le sue armi sono chitarra e armonica e i suoi bersagli la classe politica, la gestione del potere, ma anche le difficoltà che si incontrano nella quotidianità. Marino e Sandro decidono di chiamare la loro band “The Gang” in onore dell’immagine mitica del fuorilegge, di chi non si sottomette alle leggi fatte per favorire i potenti e che, come Robin Hood o Jesse James, ritiene giusto rubare ai ricchi per dare ai poveri. Una figura chiave, questa del bandito, per capire la filosofia di Tribes’ Union, ma anche quella di tutti i loro album successivi. A disco effettuato nasce il problema della gestione del prodotto e della distribuzione, che non può esaurirsi solo sui banchetti allestiti durante i concerti, ma esige un canale di contatti più ampi. Viene così concepito il progetto Tam Tam che inizialmente cura la produzione dei loro dischi, ma ben presto si allarga fino a coinvolgere i lavori di altri gruppi e a creare un fenomeno innovativo di un certo interesse. I Gang se ne occuperanno fino a quando l’etichetta comincerà ad assumere l’aspetto di una piccola impresa e ad esigere una mole di lavoro e di tempo eccessivo per i loro interessi. Verrà accantonata nell’89 in seguito al loro passaggio alla CGD. Intanto l’uscita di Tribes’ Union viene accolto con entusiasmo dalla stampa specializzata e nel referendum della critica promosso da Musica e Dischi l’album si conquista l’ottava posizione. La passionalità che trasuda dai vari pezzi dà credito ai Gang che si attestano su posizioni di barricata: i risvolti politico-sociali sono la vera peculiarità del gruppo e la musica che li sostiene è dura, diretta e senza fronzoli. Anche se i testi sono formulati in inglese si comincia finalmente a parlare, senza mezzi termini, di rock italiano. Dal vivo i Gang ribadiscono questa scelta di parte e fanno notizia le numerose partecipazioni a sostegno delle varie lotte civili: si esibiscono sempre più spesso al fianco di gruppi sensibili alle cause proletarie internazionali come Pogues, Blaster, Jesus & Mary Chain e lo stesso Billy Bragg. E proprio la convinzione dell’importanza di un intervento internazionale fa sì che la band marchigiana arrivi a scrivere pezzi come “Libre el Salvador” in cui si sposano passioni genuine a slogan consapevolmente un pò datati, e proprio per questo coraggiosi. Il giro dei concerti, sulle ali di una notorietà che aumenta, si fa più serrato e un paio di anni dopo viene registrato un 45 giri che porta sulla facciata A “Against the dollar power” e sul retro una versione di “H Says Here” dell’ormai amico Billy Bragg. L’impegno è ovviamente ribadito e il ritorno di credibilità ottenuto dalla critica e pubblico li porta a concepire, l’anno successivo, REDS06il loro primo vero album con ben dodici pezzi, Barricada Rumble Beat, ancora cantato in inglese e ovviamente sulla linea ormai tracciata del lavoro precedente. Qualcosa però si sta muovendo, il sound accetta qualche ulteriore contaminazione, diventano ora molto evidenti le influenze rhythm’n’blues che saranno destinate ad avvicinare il gruppo sempre più al mondo della tradizione popolare: esattamente come era già successo ai Clash, anche i Gang si accostano alla musica nera e addirittura entrano con decisione nella realtà sociale afroamericana rivisitando monumenti dell’eversione come Malcom X e le Black Panters. E’ il primo gradino verso un nuovo mondo, meraviglioso e tutto da esplorare, che i Gang non mancheranno di varcare. Ma tutte le tappe hanno i loro tempi, è necessario introiettare ciò che si coglie e solo allora, quando la prospettiva sarà chiara, si potrà intraprendere o meno la nuova strada. C’è ancora spazio, infatti, per un altro album interlocutorio che arriva puntualmente nel 1989 con Reds, contemporaneamente alla decisione di firmare per una major, la CGD, che lascerà la massima libertà d’espressione al gruppo, risolvendogli nello stesso tempo l’annoso problema della distribuzione. Già il concetto di presentazione del nuovo disco fa intuire grossi fermenti in atto; infatti la formazione si presenta sul palco con ben sette elementi e un’estensione della tavolozza strumentale che porta a inserire nell’organico sax, violino e flauto. E’ il frutto della frequentazione sempre più massiccia di musicisti popolari, del riaffiorare del grande amore per i vecchi maestri come Bob Dylan, Woodi Guthrie, Fred McDowell e Muddy Waters e perché no, dell’ennesimo revival del blues e della folk song assecondati anche da uscite discografiche interessanti, mai apparse prima, edite da etichette lungimiranti come l’Albatros che si era assicurata i diritti di pubblicazione delle registrazioni originali della Vanguard e della Folkways. Marino a quei tempi teneva trasmissioni di musica popolare in una radio locale ed era perfettamente al corrente di tutte quelle riedizioni della tradizione americana. Ma l’Albatros si era occupata anche delle nostre musiche regionali e aveva immesso sul mercato una gran quantità di dischi legati a tutto il folklore italiano. Ogni disco era guarnito di un libretto ciclostilato che forniva tutti i testi e le note relative alle origini delle canzoni e agli strumenti usati. Un lavoro capillare che destava interesse e appassionava ad un’attenta ricerca. Anche sotto questa spinta Marino e Sandro furono stimolati a seguire concerti di musica popolare e conoscere musicisti che erano nel medesimo tempo anche studiosi della tradizione. Ciò che più meravigliò i Gang fu l’incontro, in questo ambito, con artisti che non solo rivisitavano il folklore nella sua matrice originale, ma che erano anche in grado di rivisitarlo permettendone così la sopravvivenza. In particolare l’impatto con Ambrogio Sparagna, organettista di grande talento, si rivelò denso di sviluppi e culminò con la sua partecipazione allo stesso Reds. Ma in questo album c’è anche la lezione di Woody Guthrie, quella del vero folksinger in grado di costruire in modo immediato una canzone davanti a un fatto che lo impressiona. In Reds non c’è però ancora la totale consapevolezza della creazione di un rock veramente autoctono, c’è solo l’intuizione di ciò. L’apporto tradizionale non è ancora perfettamente amalgamato con il rock, le due espressioni convivono ma sono ancora divisibili: la rabbia punk non si è ancora sufficientemente stemperata e nello stesso tempo il recupero delle radici, con i suoi suoni e le sue melodie, comincia solo ora ad uscire dal nebuloso. Manca poi ancora il testo in italiano che risulterà un aspetto fondamentale del loro percorso. Intanto si chiudono gli anni Ottanta, un periodo di drastica restaurazione ideologica, la decade del riflusso in cui si assopisce e via via tramonta l’utopia della rivoluzione e
del cambiamento sociale. Non si può fare a meno di notare come in mezzo a questo azzeramento di volontà di lotta i Gang rappresentino un fenomeno davvero isolato che non demorde, che non è disposto a barattare con nulla le proprie idee e le proprie convinzioni. Dirà Marino a questo proposito, nel corso di un’intervista: “Credo che solo tre categorie di musicisti siano riusciti ad attraversare indenni gli anni ’80. La prima è formata da chi ha sempre ottenuto quel pò di successo che ha giustificato l’interesse delle case discografiche e della stampa, la seconda comprende i benestanti di famiglia, quelli che hanno fatto fronte con il proprio denaro allo scarso riscontro con il pubblico, e poi c’è la terza, che è composta da tutte quelle persone che in questi anni hanno tenuto duro. Se non vuoi essere ipocrita devi scegliere e noi abbiamo fatto una precisa scelta culturale. Una decisione controcorrente, opposta alle intenzioni di chi voleva rinchiudere in una specie di riserva indiana tutti coloro che avevano lavorato intensamente alla fine degli anni ’70, attorno al progetto di una possibile alternativa”. E i Gang hanno effettivamente saputo tenere duro: nonostante una laurea in giurisprudenza hanno preferito continuare a fare i fattorini per potersi dedicare alla musica, per ricavare e trasmettere quelle sensazioni e quelle esperienze che per loro sono sempre state prioritarie. Già ai tempi di Reds i fratelli Severini avevano dichiarato di non vedere di buon occhio tutte quelle tendenze che si staccavano dal punk per confluire nella new wave o nel dark. quegli orientamenti che si allontanavano dal popolare per avvicinarsi all’intellettualismo e ora lo ribadiscono a piena voce, consci più che mai che il riferimento alle proprie radici deve essere condizione imprescindibile per andare oltre.
RADICI02 L’inizio degli anni ’90 li vede lavorare ad un progetto ambizioso, una trilogia che metta definitivamente a fuoco il concetto di appartenenza e consapevolezza del prioprio cammino. Il primo atto è Le radici e le ali: il risultato di una scelta ben precisa, dello schierarsi, ancora una volta senza mezzi termini, a favore di una realtà, da sempre prevaricata, il Sud del mondo. “Se ci chiedete da che parte stiamo”, dicono i Gang, “noi rispondiamo con il Sud perché pensiamo che, come nella Guerra del Golfo, i conflitti che insorgeranno nei prossimi anni dovranno essere visti da un’angolazione diversa da quella precedente, non in termini ideologici ma di interessi contrastanti tra Nord opulento e Sud straccione. Noi ci identifichiamo nella tradizione dell’internazionalismo. Il nostro lavoro va inquadrato nell’ambito di quella sinistra che si suol dire “eretica”, fatta di gruppi che si sono sviluppati fuori o ai margini del movimento operaio: il sindacalismo rivoluzionario, le Pantere Nere, il guevarismo, il sandinismo, il maoismo, il trotzkismo, passando per le esperienze di casa nostra come Lotta Continua e Potere Operaio… e l’elenco può continuare e includere i movimenti nazionalistici dei Paesi Baschi o dell’Uster, l’OLP, i verdi, SOS Racisme, i punk anarchici. Per certi versi ci sentiamo vicini anche alla teologia della liberazione. Se si vuole capire la nostra musica bisogna tenere conto dello sviluppo economico che ha avuto questo paese e delle contraddizioni diverse che ha generato nel Nord e nel Sud. La musica in questo genere di lotta è sempre stata punto di riferimento e strumento di aggregazione: lo fu per Woody Gutrie, a cui stava a cuore l’unità dei lavoratori in un momento di trasizione tra la cultura agricola e quella industriale, lo fu per Victor Jara e Violetta Parra in Cile contro il regime di Pinochet e per il canto delle mondine, nel vercellese di metà secolo, quando scelsero lo sciopero. Oggi i giovani, come categoria sociale antagonista e portatrice di nuovi valori in contrapposizione a quelli del sistema, non ci sono più, o almeno restano sacche di resistenza che sopravvivono in piccole riserve. La “generazione” oggi non è più sintomo di controcultura o ribellismo. I giovani negli ultimi quindici anni sono stati vittime di un’omologazione crescente e questo mito interclassista riversato su di loro, è ora funzionale al sistema. Il rock non è dunque più la bandiera della cultura giovanile, anzi in seguito ad una tendenza diffusa di conformazione della musica ad altri generi di consumo è in atto un certo accantonamento del rock a favore di un orientamento deciso verso la pop music. Questo non significa che il rock sia morto, ma che è tempo che si rinnovi e trovi nuova aspirazione, non necessariamente nel mondo giovanile”. I Gang con Le radici e le ali perfezionano quanto avevano già intuito con Reds, ancora una volta si avvalgono dell’esperienza che viene dal Sud del mondo, da quella moltitudine di gruppi e solisti che hanno assorbito il rock come parte della cultura occidentale urbana per farlo diventare un passaporto di rinnovamento delle proprie radici e della propria identità. Il rock dunque come vera, nuova musica popolare che accanto alla sua matrice anglosassone integri i valori veraci di quelle tradizioni che il progresso tecnologico tende sempre più a dipanare. La scommessa successiva sarà quella di fondere il rock con la propria tradizione popolare, di dare alla nostra musica finalmente un’identità attesa da sempre, ma anche per questo ci vorrà tempo. I Gang si avvicineranno molto a questo obiettivo con Storie d’Italia e coglieranno finalmente nel centro con Una volta per sempre: il brano finale di questo disco, Ritorno, rimane probabilmente il più bel pezzo che sia mai stato concepito in questo senso. Intanto nella band, accanto ai fratelli Severini, ha definitivamente trovato spazio Andrea Mei, l’uomo delle tastiere e della fisarmonica, colui che ha contribuito con decisione ad esprimere quei suoni che i Gang andavano cercando da tempo. Ma ci sono state anche collaborazioni sempre più strette con musicisti come Antonello Salis, Antonello Ricci, Mauro Pagani, Daniele Sepe e Frank Nemola, il poeta Biagio Cepollaro, Davide Riondino e Massimo Bubola. Il 1° Maggio 1991 in Piazza San Giovanni, a Roma, viene organizzata da CGIL-CISL-UIL la Festa del Lavoro: prima di iniziare a suonare i Gang leggono un comunicato in cui invitano tutti i lavoratori del paese a uno sciopero generale contro la repubblica presidenziale che Craxi stava allora per realizzare. Il tutto avviene in diretta su Rai 2 e ciò significa la chiusura di tutte le porte delle reti televisive pubbliche a tempi molto recenti in cui vengono tolti ai socialisti alcuni posti-chiave dirigenziali. La coscienza si fa sempre più ampia e l’idea della trilogia trova terreno ancora più fertile nelle motivazioni che daranno origine a Storie d’Italia. I Gang approfondiscono il concetto di cultura popolare estrapolando valori come l’identità, la memoria storica, il linguaggio e l’egemonia, il tutto frammisto a una musica che scava sempre più nelle proprie radici senza perdere comunque mai il contatto con il rock. Prodotto da Massimo Bubola, che collabora anche alla stesura di alcuni testi, l’album mescola storie di vita vissuta a fantasie letterarie, reminescenze del passato a cruda attualità, sulla scia di quel “realismo visionario” che è la vera fonte di ispirazione artistica dei Gang. I musicisti fanno parte di quella cerchia sempre più ampia di amici cheSTORIE10 percorrono la stessa ricerca e sono, oltre al nucleo di base, Vincenzo Zitello al twin whinstle, Moreno Touchè alle percussioni, Mario Arcari ai fiati e Giampaolo Petrini alla batteria. Per la prima volta si cominciano ad affrontare palesemente i problemi di casa nostra, si parla di mafia, di intrighi politici, di tangentopoli: si esplicitano fatti e persone che reagiscono duramente alla cronaca. 200 gioni a Palermo, una canzone che vuole ricostruire lo scenario economico-politico del momento in cui avviene l’omicidio di Pio La Torre, segretario regionale dell’allora PCI ucciso dalla mafia nell’aprile dell’82, costa ai Gang una citazione giudiziaria per aver accostato ai nomi di Ciancimino e Lima quelli del senatore pidiessino Russo (che ricoprì ai tempi la carica di presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana) e di Sanfilippo (vicepresidente regionale della Leghe delle Cooperative in Sicilia). I due politici chiedono come risarcimento morale qualcosa come cinquecento milioni (oltre ai Gang sono stati citati la loro casa discografica, la CGD, il direttore, l’editore e il giornalista Gabriele Ferrario del quotidiano La Stampa per aver dato la notizia della pubblicazione del disco Storie d’Italia sottolineando l’importanza di una canzone come 200 giorni a Palermo). I Gang sono dunque disposti ad esporsi alle ire dei notabili e dei potenti pur di mantenere viva la memoria di ciò che è stato, perché non si dimentichino il malcostume, la corruzione e il cinismo dei fatti. “La memoria”, dice ancora Marino Severini, “è come una specie di scatola megica dove possiamo gettare tanti semi, che sono le nostre sensazioni, emozioni e ricordi, con la speranza che da essi fiorisca un sogno nuovo e un modo propositivo di intendere la storia. La scatola magica è in ciascuno di noi: è di nuovo la semina, il muoversi nel campo, un viaggio quindi, lo svolgersi di un tempo di vita che oggi non è più scandito da tappe certe e il cui cammino richiede un dosaggio alchemico di narrazione, selezione e oblio per poter raccontare una storia nella quale riconoscersi, senza rimanere
imprigionati. La società planetaria nella quale, come uomini nuovi, ci prepariamo ad abitare, fa coesistere nella contemporaneità strati temporali e culture diverse. E’ una società multietnica, multiculturale, ma anche multistorica. Nello spettacolo dei media tutto diventa contemporaneo perché si trasforma in immagine, mentre in realtà le culture e i territori portano con sé la loro storia, appartengono a fasi diverse dell’evoluzione umana. Con questa pluralità dobbiamo imparare ad attraversare, non solo la Babele delle lingue e delle culture, ma a muoverci in tempi storici diversi senza perdersi. E’ un nuovo aspetto del migrare perché, oltre allo spazio, viene coinvolto anche il tempo. Gli stessi passaggi si moltiplicano in un gioco di vertigine e il fluire di un’epoca non è più assicurato dalla crescita lineare e dal funzionamento automatico delle istituzioni democratiche. Il futuro è già adesso: torna così l’attenzione sull’individuo che è potenzialità, che si costruisce da sé utilizzando e investendo risorse. Il cambiamento non è più ostacolo, ma un modo di assicurare continuità e unità alla storia individuale”.
I Gang cominciano anche a porsi seriamente come rapportarsi con l’arte, a chiedersi quanto il percorso individuale conti in termini di creazione e si rendono conto che nelle regole del business tutto ciò importa poco o nulla e che l’unica regola che vale è quella del consumo. Nasce allora l’esigenza della metafora, del linguaggio profetico, della narrazione che porta a far passare l’uno nell’altro, a sostituire l’uno con l’altro, a creare quella comunicazione che usa l’intuizione e l’emozione come passe-partout per l’anima. I Gang sono attratti dall’epica, dalla poesia narrativa che riporta in vita lo spirito dei cantori, quella sorta di intuizione legata al periodo d’oro della parola in rapporto alla memoria. Oggetto dell’epica è il racconto delle imprese di uomini e Dei degni di ricordo, è qui che, con l’aiuto della registrazione del passato, nasce la coscienza soggettiva del ricordo. Affidata al mito e al ricordo, la memoria consente revisioni, riscritture e riabilitazioni ed è proprio ciò che negli anni Ottanta, con il craxismo prima e il berlusconesimo poi, si è cercato di negare scegliendo un punto di partenza più immediato e illudendosi di poter fare a meno del passato. Quello dei Gang non è un narrare iperrealistico e non vuole nemmeno essere una costruzione retorica, cerca piuttosto di presentare le cose per poi fuggire immediatamente: è un narrare antico che ha bisogno del pubblico per SEMPRE13creare con i suoi autori. La metafora tende a svegliare l’inedito che è in ciascuno di noi, ma è fragile e si espone a tutti i rischi, compreso quello di omolgazione con la cultura dominante, ma è sempre in grado di rinascere perché, come dicono Marino e Sandro, “la sua vera sorgente è il cuore dell’uomo inedito che è ovunque e lancia messaggi all’uomo inedito che è ovunque”. La sua funzione non è solo quella di aprire nuovi orizzonti, ma è anche quella di tenere in serbo le risorse conoscitive e morali per i momenti di insicurezza e di minaccia, di trasformare le circostanze della catastrofe in nuove condizioni di crescita. Proprio quando arrivano a questo grado di elaborazione i Gang concepiscono Una volta per sempre, una meditazione profonda sul valore e sul significato del tempo che non è più una costante irreversibile, una freccia entropica, ma un processo che si ripete a cicli più o meno fissi e permette il mutare delle cose perché ogni percorso circolare è un “quanto” di esperienza in più che permette di progredire. Con Una volta per sempre, i Gang, sostengono che non esiste l’età del’oro dell’infanzia, né l’esatto contrario, ma solo la condizione dell’adulto che per essere tale deve riconquistarsi la propria infanzia, non per occultare la realtà temporale, ma per mantenere vitale la sua parte inedita che quando è soffocata crea disperazione, avvillimento e rinuncia alla crescita. Con questo lavoro suggeriscono una meditazione sull’oggettività come punto di arrivo evolutivo. L’oggettività è la fine del viaggio iniziatico e pertanto l’illuminazione, la scoperta di se stessi come parte integrante del tutto. Il punto d’arrivo. La verità. Ora si capisce anche meglio il significato del titolo che ha dato inizio alla trilogia: con i termini Radici e Ali, i Gang volevano già da allora sintetizzare il lungo volo che è necessario fare per rimpossessarsi della propria anima, il tormentoso cammino profetico che bisogna percorrere per chiudere il cerchio e ricominciare da capo. Terminato il trittico, i Gang hanno esplorato nuove dimensioni. La strada che hanno battuto con il lavoro successivo, Fuori dal controllo, è quella dell’eresia, delle idee non omologate che spesso danno fastidio al potere perché non hanno interessi da difendere se non la verità. I personaggi trattati sono sia quelli noti che quelli non, in un ventaglio storico molto ampio, ma con grande attenzione ai giorni nostri. Dice Marino: “In questo momento c’è un grosso investimento sull’identità ritrovata, sull’appartenenza della tradizione, più precisamente sull’eresia, che non è da intendersi soltanto da un punto di vista ideologico, ma soprattutto esistenziale e allora volevamo, proprio per contribuire a una sorta di dibattito, ritornare a dieci personaggi della storia d’Italia che a modo nostro fossero degli eretici: dei primi piani che dipingessero fugure come quelle di Giordano Bruno, Davide Lazzaretti, Pierpaolo Pasolini, Giuseppe Puglisi, FUORI01Nicola Sacco, Ilaria Alpi e Santa Maria Goretti, dei nomi molto diversi tra loro, ma in qualche modo legati per i percorsi di vita effettuati e i conflitti sostenuti”. Con Fuori dal controllo attuano un cambio di rotta ritornando “al garage” lavorando a fondo sulla formula basso-chitarra-batteria. Inoltre i fratelli Severini si circondano di musicisti delle stesse loro parti, le Marche, costruendo così un gruppo con il quale ricreare un sound particolare che li caratterizzi ancor di più, come ai vecchi tempi.
Nell’album Controverso (2000) interviene, con la lettura di una sua poesia intitolata Reflesciasà (cioè réfléchis à ça pronunciato alla napoletana) il poeta e scrittore Erri De Luca.
Nella primavera del 2001 nasce il progetto Gang City Ramblers che congiunge due generazioni di combat-(folk)-rockers i Modena City Ramblers con i Gang, sullo stesso palco a interpretare brani delle due formazioni.
Nel 2004 pubblicano insieme al gruppo di ricerca e canto popolare de La Macina, Nel tempo e oltre cantando, dove vengono riarrangiati e riproposti brani storici di entrambe le formazioni quali Sesto San Giovanni, Kowalsky dei Gang e Cecilia, Stavo in bottega che lavoravo de La Macina; non è un disco dei Gang, né un disco della Macina, i due repertori vengono stravolti: i canti popolari diventano brani rock e le canzoni dei Gang sembrano canzoni dei nostri nonni.
CONTROVERSO01Nel 2006, infine, è la volta dell’album, intitolato Il seme e la speranza, dedicato al lavoro della terra e realizzato in collaborazione con la Regione Marche. Canzoni nuove, qualche rifacimento e collaborazioni con artisti incontrati durante gli ultimi anni. Lo spirito dell’album è quello della testimonianza storica delle radici contadine del nostro Paese. Nell’album canzoni di Resistenza: 4 maggio 1944-In memoria, canzone dedicata ad una rappresaglia nazifascista avvenuta il 4 maggio 1944 a Sant’Angelo di Arcevia nella provincia di Ancona, dove vennero uccise barbaramente 63 persone, partigiani e civili, tra questi i componenti della famiglia Mazzarini, una famiglia contadina che aveva offerto rifugio e riparo ai partigiani che operavano in quella località; La pianura dei sette fratelli riletta dal Coro delle Mondine di Novi, testimonianza come i brani dei Gang appartengano ormai alla tradizione popolare; A Maria. C’è This Land is my land di Woody Guthrie che vede numerosi ospiti e che è stata inserita recentemente nell’archivio Guthrie. C’è Lacrime del sole nuovo inno contadino. Un disco dedicato all’”umanesimo contadino” come ama dire Marino Severini durante i concerti. Il disco è registrato in casa per permettere a Paolo Mozzicafreddo, batterista dal 1997, già malato, di partecipare alle registrazioni. Morirà il 19 giugno 2006 all’età di 31 anni. Dopo essere stato sostituito da Piero Montecchiari, Francesco Bigoni e Diego Garbuglia, ora alla batteria c’è il giovane Luca Ventura.